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11 Giugno 2020
Un futuro più giusto è possibile, in Italia
Promemoria per il “dopo” Covid-19 in Italia
Le pandemie hanno sempre costretto gli esseri umani a rompere con il passato e a immaginare il loro mondo da capo. Questa non è diversa. È un portale, un cancello tra un mondo e un altro.
Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, l’avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e cieli fumosi.
Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso.
E a lottare per averlo
Arundhati Roy, Aprile 2020
Le domande aperte
Come contenere la caduta di capacità produttiva e l’aumento delle disuguaglianze dovuti alla crisi Covid-19? Come assicurare la “distanza fisica” necessaria senza “distanza sociale” e senza impedire la democratica espressione del dissenso? Come costruire da subito un “dopo” più giusto, a cominciare dalle tutele sociali, dalla redistribuzione delle perdite e da un uso equo dei massicci fondi pubblici previsti per affrontare la crisi? Come evitare che il ritrovato riconoscimento e la legittimazione di ciò che è “pubblico” degeneri in uno statalismo autoritario? Come evitare che sotto la bandiera ambigua del “progresso digitale” e di “grandi piani di investimento” passi un’ulteriore concentrazione del controllo privato della conoscenza, e una mortificazione di democrazia, società civile e imprenditorialità produttiva? Come trasformare i nuovi squilibri sociali, i cambiamenti nelle preferenze e l’accelerazione della trasformazione tecnologica in un cambio di rotta verso la giustizia sociale e ambientale? Quali sono gli avversari di questo cambio di rotta e con quali forze e alleanze batterli? A quali obiettivi strategici e proposte dare priorità, nel breve e nel medio-lungo termine?
Sono queste le principali domande che muovono oggi l’impegno del Forum Disuguaglianze Diversità (ForumDD), un’alleanza di otto organizzazioni di cittadinanza attiva e del mondo della ricerca accademica e istituzionale che raccoglie oltre 80 membri e partner di progetto. Abbiamo appena presentato il nostro schema concettuale e le nostre proposte nel libro “Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale” (Il Mulino) e in un Documento sugli effetti della crisi. Questo breve saggio ne riassume i punti principali; è disponibile anche in lingua inglese ed è stato quindi scritto per una platea non solo italiana. Di seguito, muoviamo dall’identificazione delle principali disuguaglianze e debolezze strutturali rese eclatanti dalla crisi. Nonostante l’incertezza sistemica ancora dominante, cerchiamo poi di individuare i possibili cambiamenti sociali, economici e istituzionali avviati dalla crisi, per cogliere le numerose biforcazioni che si aprono e sintetizzarle in tre scenari: Normalità e Progresso, Dinamica Autoritaria, Un Futuro più Giusto di Prima. Affinché quest’ultimo scenario prevalga, proponiamo sette cose da fare subito e cinque obiettivi strategici, fatti di proposte concrete. E’ un obiettivo alla nostra portata, ma solo se alla visione e alle proposte si accompagneranno alleanze robuste che attraversino la società e una mobilitazione sociale organizzata.
Disuguaglianze e tendenze
Dovrà essere rigorosamente investigato in quale misura l’avvio stesso della pandemia poggi su gravi distorsioni dello sviluppo. Ma intanto sono certe le gravi fragilità e disuguaglianze che hanno amplificato la sua diffusione e i suoi effetti sanitari, economici e sociali. Erano state investigate dal ForumDD prima della crisi. Si tratta di fragilità e disuguaglianze di natura globale o tipiche dell’Italia.
A livello mondiale osserviamo: assoluta impreparazione alla pandemia, connessa a un’esasperata privatizzazione della conoscenza; fallimento della cooperazione politica internazionale; prolungato stallo dell’Unione Europea (con eccezione della sua unica istituzione federale, la BCE) prima che la Commissione Europea avanzasse proposte significative, assumendo una responsabilità collettiva per il finanziamento della ripresa; una diffusione senza precedenti, attivamente promossa da scelte politiche, del lavoro precario e irregolare su cui ogni crisi si riflette immediatamente; forti disuguaglianze territoriali, dalla copertura digitale, alla scuola, alla cura della salute, alla mobilità; elevata quota di popolazione senza margini di risparmio per reggere anche poche settimane senza entrate.
Altri fattori sono propri dell’Italia: un sistema polarizzato di piccole e medie imprese, con una larga parte che sopravvive compensando la bassa produttività con salari bassi o irregolarità, e che non ha margini per reagire; disinvestimento nella sanità pubblica e in particolare in presidi territoriali che combinino salute e welfare locale; pubbliche amministrazioni arretrate e inefficaci, con eccezioni non sistematiche; un decentramento male attuato (ma necessario).
Sarebbe irragionevole di fronte a tutto questo non reagire allo shock cambiando rotta. Eppure è ciò che rischia di avvenire. Al fine di prefigurare i diversi alternativi scenari di fronte a noi, dobbiamo prima individuare, per quanto incerte siano, le principali tendenze avviate dalla crisi. Certo, la crisi distrugge capacità produttiva e carica le pubbliche finanze di nuovi grandi oneri, richiedendo una politica che redistribuisca in modo equo questi costi. Ma, al tempo stesso, la crisi destabilizza vecchi equilibri e apre molte nuove biforcazioni:
- La rottura delle catene internazionali del lavoro può penalizzare le nostre esportazioni, ma può anche offrire opportunità alle produzioni nazionali.
- L’improvviso riconoscimento di un vasto insieme di “lavori invisibili” – lavori precari, lavori materiali non specialistici, lavori affidati a immigrati o migranti – necessari per la produzione di beni e servizi “essenziali”, può accrescere il loro potere negoziale.
- La modifica delle preferenze a favore di servizi fondamentali e di prodotti di prossimità (agro-alimentare, turismo, energia) apre opportunità di nuove imprese e buoni lavori, anche in aree marginalizzate nel precedente quarantennio, e accresce la consapevolezza dei legami fra giustizia sociale e ambientale.
- L’accelerazione della trasformazione digitale può agire in direzioni assai diverse: può accrescere – sta già accrescendo – la già grande concentrazione di conoscenza, potere e ricchezza nelle mani di mega-imprese digitali, ovvero può essere impiegata per accrescere l’accesso e la diffusione della conoscenza; può produrre un’ulteriore frammentazione del lavoro o essere usata per accrescere autonomia e responsabilità delle persone che lavorano; può condizionare la formazione delle nostre preferenze e accrescere la sorveglianza, limitando la nostra libertà, ovvero può promuovere nuove forme di creatività e mutualismo, accrescendo la nostra libertà; può migliorare la cura della salute e la prevenzione per tutti, o essere usata per disumanizzare cura della salute e servizi sociali.
- Il ritorno di riconoscimento e legittimazione per ciò che è “pubblico”, può evolversi in tre distinte direzioni: uno Stato supino alle decisioni pseudo-tecniche di pochi nascoste sotto il velo del mercato; uno Stato dirigista, autoritario e punitivo; ovvero, una piattaforma democratica dove i sentimenti, interessi e saperi del lavoro e della cittadinanza hanno voce e trovano soluzioni di compromesso attraverso un confronto acceso, informato, aperto e ragionevole: ciò che alcuni chiamano “sperimentalismo democratico”.
Tre scenari
Queste molteplici biforcazioni assieme alla destabilizzazione del vecchio ordine, che cambia i parametri del possibile, possono dare dunque vita a scenari assai diversi. Li abbiamo riassunti in tre opzioni.
L’istintiva, ragionevole pulsione verso il “prima” sarà utilizzata – è già oggi utilizzata – da chi pensa e ripete da tempo che “non esiste alternativa”, per riproporci la realtà da cui veniamo come se fosse la massima aspirazione possibile. Ovviamente, viene presentata come una realtà “modernizzata e digitalizzata” un Digital New Deal – mentre viene innalzata la bandiera della riduzione delle disuguaglianze: il suo motto è qualcosa tipo “Normalità e Progresso”. Ma in realtà tutto viene governato dagli stessi principi e dalle stesse leve dell’ultimo quarantennio: pseudo-semplificazioni fatte di standard uniformi e regole cieche ai contesti territoriali; ulteriore inibizione sia della discrezionalità delle amministrazioni pubbliche nell’adattare linee guida generali, sia delle forme di partecipazione civica e del lavoro; scaricamento su famiglia, e dunque sulle donne, e “terzo settore” del ruolo di ammortizzatore sociale di ultima istanza; ulteriore flessibilità del mercato del lavoro; una visione patrimonialista dell’impresa, che, svuotando gli obiettivi mondiali dello sviluppo sostenibile, è sostanzialmente ignara degli altri stakeholders (lavoro, ambiente) e incoraggia l’opportunismo; l’azione pubblica, anche massiccia, ma assoggettata alle decisioni di pochi.
Qui in Italia, come altrove, leggiamo la forza di questo scenario in molti segnali preoccupanti:
- La resistenza politica a finanziare un reddito di emergenza per chi è privo di ogni tutela e di redditi alternativi, una categoria che comprende in modo sproporzionato migranti/minoranze.
- La retorica sullo “smart working” e sull’”insegnamento a distanza”, cieca alle condizioni necessarie affinché queste “digitalizzazioni” migliorino la qualità della vita, dello studio e del lavoro e riducano le disuguaglianze.
- La resistenza a costruire la ripresa delle attività attraverso una governance condivisa fra imprese, lavoro e governi locali che garantisca condizioni di sicurezza.
- La “cucina” dei sacrosanti provvedimenti per dare liquidità alle imprese, disattenti alle esigenze delle stesse imprese e all’opportunità di costruire un loro patto con la società che promuova obiettivi ambientali e sociali.
- La retorica delle “disuguaglianze”, accompagnata dalla vecchia logica di compensare quelle disuguaglianze per mezzo di sussidi, non cambiando i processi di formazione della ricchezza e gli equilibri di potere.
- Il comportamento schizofrenico verso tutto ciò che è pubblico, riscoperto e rilegittimato come essenziale per le nostre vite, ma subito confinato da molti in un ruolo di passivo esecutore e finanziatore di interventi o di mega-piani-di-spesa decisi da pochi, senza un confronto aperto e trasparente con cittadinanza e lavoro.
- Il pensare al civismo attivo e al privato sociale in un ruolo ancillare, di sostituzione e compensazione (a bassi salari) del welfare pubblico, non come co-attore di cambiamento verso una società più giusta.
- Il dare per scontato che i tanti bisogni sociali prodotti dalla crisi vengano in misura sproporzionata scaricati sulle donne, facendo passi indietro nelle relazioni di genere, con un’esasperazione delle asimmetrie di potere a favore dei maschi nella distribuzione dei compiti di cura.
L’opzione Normalità e Progresso non è solo iniqua, risuonando per molti più come una minaccia che come una ragione di speranza, ma è assolutamente inadeguata alla gravità del momento. Per quanto grandi siano le risorse pubbliche che verranno investite, questa opzione è destinata, prima o poi, a rinfocolare o a scatenare la rabbia e il risentimento, già manifesti prima della crisi, accresciuti ora da incertezza, ansia e povertà. E’ dunque immaginabile che questa opzione possa incoraggiare un’altra opzione, la ripresa della dinamica autoritaria (Karen Sennert). In questo scenario, il cui motto suona simile a “Sicurezza e Identità”, il ruolo rinnovato del pubblico si trasforma in uno Stato accentrato, uno Stato che prende decisioni senza confronto, sorveglia e sanziona i comportamenti “difformi”, tutela le persone contro la diversità e la contaminazione, alzando muri a protezione di comunità chiuse, ignorando le libertà, sia procedurali che sostanziali. I due scenari potrebbero mescolarsi in una soluzione unificata, dove lo Stato è supino e di tasca larga sul terreno dell’economia e pro-attivo e punitivo sul terreno delle libertà e dei diritti.
E così veniamo allo scenario che proponiamo come visione positiva per un possibile futuro: orientare il cambiamento che lo shock ha avviato per puntare a uno scenario che chiamiamo “Un Futuro Più Giusto di Prima”, fatto di maggiore giustizia sociale e ambientale. È un’opzione che può trovare radici in alcuni segni positivi di queste difficili settimane: dalle azioni di solidarietà all’interno delle comunità territoriali, alle reazioni di forme di auto-organizzazione e mutualismo, alla ritrovata visibilità del “lavoro materiale”, alla reazione creativa della migliore imprenditorialità, all’impegno delle organizzazioni di cittadinanza attiva per affiancare i più vulnerabili e propugnare idee. A partire da qui, si può costruire una strategia di uscita dalla crisi dove lo Stato agisce attraverso uno sperimentalismo democratico, mirando a dare a ciascuno “la capacità di fare le cose a cui assegna con ragione un valore … senza compromettere la possibilità delle future generazioni di avere la stessa o più capacità”. E’ la libertà sostanziale sostenibile (Amartya Sen) che si traduce in lavori stabili e di qualità, a una libera circolazione della conoscenza, a filiere energetiche e alimentari pulite e di prossimità, al rilancio del sistema delle PMI sulla base dell’innovazione, ad abitazioni dignitose e sicure, a servizi fondamentali a misura dei luoghi, a un riequilibrio nel rapporto fra i generi, a una vita quotidiana in sintonia con l’ecosistema.
Questi obiettivi sono alla nostra portata. Ma non sarà facile. Per andare in questa direzione è necessario che la visione sia accompagnata da proposte concrete, capaci di combinare e rispondere a una “molteplicità di domande eterogenee in modo che venga preservata la differenziazione interna all’insieme” (Chantal Mouffe) e di incidere nei processi di formazione, non solo di redistribuzione, della ricchezza. Ed è poi necessario che queste proposte siano sostenute da una mobilitazione sociale organizzata, visto che il cambio di rotta ha molti avversari.
Infatti, la “normalità” in cui il virus è esploso era sì ingiusta per moltissimi, ma era conveniente per molti altri. Questi ultimi resisteranno al cambiamento: molti di coloro che hanno accumulato quote straordinarie di ricchezza; chi ha acquisito un forte e inusitato controllo sulla conoscenza e sulla trasformazione digitale; i rentier beneficiari di mille sussidi e benefici fiscali; chi, nel pubblico, nel privato o nel sociale, fa da intermediario nell’allocazione di risorse pubbliche, mal spese; chi si interessa solo della tutela delle proprie condizioni di lavoro, ignorando quelle degli altri; chi riduce il “merito” personale alla capacità di accumulare ricchezza.
A queste forze si dovrà contrapporre un’alleanza di soggetti impegnati, nel settore privato, sociale o pubblico, a produrre nell’interesse generale, considerando la giustizia sociale e ambientale come un requisito di sviluppo e come misura ultima del proprio “merito”. Questa alleanza potrà includere fra gli altri: i lavoratori e le lavoratrici pronti a tutelare la dignità di tutto il lavoro ed esercitare un ruolo di partecipazione strategica; i giovani che chiedono più potere e una svolta ambientale; le donne che riescono a combinare obiettivi di genere con obiettivi sociali; immigrati e migranti consapevoli del loro ruolo potenziale di rigenerazione culturale; gli imprenditori privati pronti a giocare la carta dell’innovazione soprattutto sul terreno delle produzioni verdi in cui l’Italia (assieme a Germania, USA e Cina) ha un forte potenziale; l’imprenditorialità, privata e sociale, piccola e micro animata da forti “animal spirits” e creatività; i managers delle grandi imprese pubbliche animati da una missione pubblica; quei dipendenti pubblici che, nonostante un sistema di incentivi perversi, esercitano con coraggio la loro discrezionalità per migliorare la qualità dei servizi.
Se e come una simile alleanza possa formarsi è questione aperta, decisiva per l’attuale travaglio della democrazia. Ridare forza al confronto pubblico è il solo modo in cui, accanto al “popolo elettorale” e al “popolo dei principi” (espresso dalla Costituzione), si possa manifestare il “popolo sociale”, altrimenti “amorfo, elusivo e introvabile”. Comunque stiano le cose, avere una visione e avanzare proposte radicali e operative, volte a riequilibrare poteri, è un passo necessario in questa direzione. E’ il passo compiuto dal ForumDD.
Interventi di breve termine
Il lungo periodo non è altro che una sequenza di brevi periodi. E quindi, le azioni e le inazioni di queste prime settimane già cominciano a segnare il nostro futuro: i segnali di allarme, come già scritto, sono forti e chiari. Un aggiustamento è dunque necessario sin da ora. Lo rappresentiamo in sette passi, rilevanti per l’Italia e per altri paesi:
- Protezione sociale per tutte le persone a misura delle persone. Rispetto alle misure subito assunte dal Governo Italiano, abbiamo proposto con l’ASviS di legare la tutela del lavoro autonomo alla perdita effettivamente subita e di estendere la tutela a 6-7 milioni di lavoratrici e lavoratori, precari e irregolari, altrimenti scoperti. Questa estensione non solo risponde a un principio di giustizia e affronta una grave emergenza, ma rappresenta anche un’occasione per mettere il lavoro informale in contatto con lo Stato e la società civile, avviando un percorso di emancipazione verso buoni lavori. La nostra proposta ha avuto un effetto parziale sulle decisioni di Governo.
- Informazioni adeguate sui contagi. Abbiamo sin dall’inizio della crisi Covid-19 proposto un monitoraggio campionario della popolazione, essenziale nei prossimi mesi. Per quanto concerne il ricorso a sistemi di tracciabilità, essi devono avere i seguenti requisiti: chiara e convincente indicazione dell’uso che verrà fatto dei dati raccolti; memorizzazione dei dati decentralizzata; affidamento al personale sanitario della responsabilità ultima nell’indirizzare e rassicurare le persone, in coerenza con il “diritto di ottenere l’intervento umano da parte del titolare del trattamento, di esprimere la propria opinione e di contestare la decisione” sancito dal Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’UE (art.22). La questione è ancora aperta.
- Un programma partecipato di ripresa e adattamento delle attività produttive a misura dei contesti. A partire da indirizzi nazionali, la ripresa delle attività deve essere attuata territorio per territorio attraverso una governance condivisa fra imprese, lavoro e governi locali, così da assicurare e monitorare la sicurezza dei luoghi di lavoro e di adattare l’attività alle nuove circostanze (per esempio, consentendo a ristoranti, bar e altri negozi di occupare spazi esterni). Alcune Regioni (in particolare l’Emilia-Romagna) e Comuni seguono questo approccio..
- Un programma partecipato di ripresa dell’attività scolastica a misura dei contesti. Obiettivo primario è che le già elevate disuguaglianze, nell’accesso e nella qualità dell’istruzione scolastica, non si amplino ancora: per le differenze esistenti nlla capacità delle famiglie di affiancare l’apprendimento e per i grandi divari di qualità ed efficacia dell’insegnamento a distanza (quando esiste un’adeguata copertura digitale e sono disponibili supporti adeguati per avvalersene); per l’induzione all’abbandono della scuola che può derivare dal distacco. Stanti le forti differenze territoriali nel contagio e nella disponibilità di spazi alternativi alle aule (fra quartieri e città e fra aree urbane e rurali), sono opportuni indirizzi generali nazionali che possano essere attuati territorio per territorio attraverso un confronto pubblico, fra insegnanti, famiglie e governi locali. La questione è ancora aperta.
- Liquidità alle imprese condizionata a requisiti giusti. I prestiti con garanzia pubblica o altri interventi pubblici a sostegno delle imprese devono essere a un tempo: aggiuntivi e non sostitutivi di prestiti in essere; non essere utilizzati per il riacquisto delle azioni o il pagamento di dividendi; accompagnati da un patto sociale per cui l’impresa apre e democratizza il proprio governo societario così da dare ad altri stakeholders, lavoro e cittadini, una voce sulle decisioni strategiche, e fare in modo che la ripresa e il rilancio dell’attività possa promuovere giustizia sociale e ambientale. Nessuna di queste condizioni è al momento soddisfatta.
- Un sostegno finanziario alle organizzazioni di cittadinanza attiva. Molte di queste organizzazioni svolgono una funzione primaria nel contrasto delle emergenze sociali, offrendo protezione sociale per i più vulnerabili e contrastando l’impoverimento. L’obiettivo è di permettere a queste organizzazioni di adattare alle nuove condizioni i loro interventi. Il sostegno va allocato in base ai risultati ottenuti in passato: un metodo contemplato dalla politica di coesione europea. Questo obiettivo è stato raggiunto, anche se le risorse finanziarie previste dalla proposta del governo non sono ancora adeguate.
- Redistribuzione e contrasto degli effetti della crisi sulle piccole e medie imprese. La crisi colpisce in modo assai disomogeneo il sistema delle PMI. E’ necessario che l’effetto della crisi sia redistribuito e che si lavori a evitare la perdita di capitale fisso e umano ogni volta che sia possibile, favorendo il rinnovamento manageriale. Tre interventi andrebbero in questa direzione (per ora, nessun esito):
- Riduzione dell’orario di lavoro: si tratta di una soluzione particolarmente adatta nei numerosi distretti industriali del paese, relativamente omogenei nelle attività svolte e nelle competenze necessarie.
- Workers Buyout: si tratta di utilizzare intensamente (e di rafforzare) il meccanismo esistente per cui i lavoratori dell’azienda in difficoltà possono acquisire la proprietà dell’impresa, attraverso la formazione di una cooperativa, utilizzando anche i trasferimenti pubblici che avrebbero ricevuto in caso di fallimento.
- Partnership della Cassa Depositi e Prestiti: la CDP è stata dotata di vaste risorse per acquisire quote proprietarie o dare prestiti a imprese private. Questo intervento dovrebbe essere usato per promuovere il rinnovamento del management e dell’organizzazione delle imprese e per favorire la transizione energetica e lo sviluppo di produzioni “verdi”.
Cinque obiettivi strategici e le proposte operative per raggiungerli
La realizzazione degli interventi di breve termine appena richiamati rappresenterebbe un passo significativo nella direzione giusta. Ma sarebbe comunque solo l’inizio. Un nuovo sviluppo trainato dalla giustizia sociale e ambientale richiede, a nostro parere, che siano perseguiti cinque obiettivi strategici, con forte determinazione e continuità. Li presentiamo di seguito insieme agli strumenti operativi per raggiungerli, che traiamo in misura significativa dalle proposte disegnate dal ForumDD prima della crisi come parte di una strategia per combattere le disuguaglianze. Una descrizione dettagliata e aggiornata di ogni proposta è disponibile nel volume “Un futuro più giusto”.
Non si tratta dell’ennesimo Grande Piano di Spesa Pubblica disegnato a tavolino, da calare poi sui territori indipendentemente dal contesto e senza incorporare i saperi locali. Si tratta piuttosto di riequilibrare poteri e cambiare organizzazioni, e di modificare radicalmente “come” si fanno le cose e “come” si usano i poteri e denari pubblici.
- Accrescere l’accesso alla conoscenza e indirizzare la trasformazione digitale alla giustizia sociale e ambientale. Il primo pilastro per contrastare la distruzione delle opportunità delle persone e della capacità produttiva e per indirizzare lo sviluppo nella giusta direzione è rappresentato da un drastico salto di qualità nell’accesso delle persone alla conoscenza. Un salto nel numero di persone a cui, indipendentemente dalle condizioni sociali ed economiche, è data l’opportunità di dare espressione alle proprie abilità istintive, alla propria capacità di imparare e scoprire, e di accedere a tutta la conoscenza disponibile, per ricostruire un proprio programma di vita. Questo riguarda sia le persone che le imprese, private e sociali. E richiede i seguenti passi:
A livello di Unione Europea:
- Missioni strategiche mirate alla giustizia sociale e ambientale che guidino gli interventi diretti e il coordinamento delle politiche nazionali realizzato attraverso il Semestre europeo.
- Creazione di tre “Imprese pubbliche Europee” che utilizzino l’”open science” prodotta dalle mille infrastrutture pubbliche di ricerca esistenti per realizzare un balzo innovativo nei campi di Salute e Invecchiamento, Transizione Energetica e Trasformazione Digitale. Si potrà così impedire che i consumatori paghino due o tre volte per quell’innovazione, attraverso le imposte, prezzi da monopolio e la fornitura gratuita dei propri dati.
- Impegno per una modifica del Trattato TRIPs (bastano poche parole) che riequilibri il principio della tutela della proprietà privata intellettuale a favore del libero accesso alla conoscenza.
A livello nazionale, investire in quattro grandi centri di conoscenza del sistema pubblico:
- Imprese pubbliche nazionali. Il loro investimenti rappresentano il 17% degli investimenti fissi lordi privati e delle spese in R&S del paese e circa un terzo della capitalizzazione della Borsa di Milano. E’ possibile liberare il loro forte potenziale oggi sotto-utilizzato, specie nei campi energetico, digitale e della mobilità, assegnando loro missioni strategiche, promuovendone l’azione sistemica, allineando le loro strategie e le scelte delle amministrazioni centrali e regionali.
- Università. Il loro impatto sociale può essere riconosciuto, promosso e valorizzato, con particolare riguardo all’accrescimento dell’accesso agli studi, oggi minimo, al trasferimento di conoscenze alle PMI, consapevolezza culturale e scientifica della popolazione, formazione dei dipendenti pubblici.
- La crisi ha portato in luce l’importanza dei metodi di insegnamento, del ruolo di assistenza psicologica e della funzione nell’organizzazione della vita economica e familiare. E’ l’occasione per riconoscere e riformare queste funzioni, per lanciare un possente programma di contrasto dell’assai elevata povertà educativa e per tornare a riconoscere il in modo strutturale il ruolo di insegnanti e scuole nella nostra società.
- Gestione pubblica delle risorse digitali. E’ necessario sviluppare e utilizzare piattaforme digitali, nazionali e locali, indirizzare l’accelerazione della trasformazione digitale alla giustizia sociale, prendere la strada giusta a ognuna delle biforcazioni che ci attendono e assicurare un governo verificabile e democratico dei dati e degli algoritmi di apprendimento automatico, al fine di disegnare servizi fondamentali a misura delle persone.
- Promuovere servizi fondamentali, nuove attività e buoni lavori, prima di tutto nei territori marginalizzati.
Cura delle persone, istruzione/formazione, cultura, intrattenimento, beni alimentari prodotti da filiere corte, turismo di prossimità e rarefatto, energia elettrica auto-prodotta, qualità abitativa, nuove forme di mobilità flessibile: sono questi e altri i beni e servizi fondamentali, che, beneficiando della probabile evoluzione delle preferenze e attivando un’offerta imprenditoriale privata, sociale e pubblica, potranno concorrere a uno sviluppo giusto. Nelle “aree marginalizzate” (periferie urbane, aree interne, campagne deindustrializzate), dove il circolo virtuoso di domanda-offerta non partirà in modo autonomo, è necessaria una politica per lo sviluppo rivolta ai luoghi, capacitante e partecipata. Dovrà fare in modo che i nuovi bisogni generati dalla crisi siano soddisfatti, sul mercato o attraverso servizi pubblici di qualità, e che siano rimossi gli ostacoli, i “lacci e i lacciuoli”, alle imprese, private e sociali, che possono soddisfare quei bisogni. L’Italia ha già applicato in diversi contesti questa politica, che rompe con i sussidi compensativi del passato. Ora è il momento di attuarla in modo sistematico.
- Dignità, tutela e partecipazione strategica del lavoro, in un nuovo patto con le imprese.
Il rilancio dello sviluppo su basi nuove richiede anche che il riconoscimento, con la crisi, di lavoratori e lavoratrici prima invisibili si trasformi in un investimento nella loro dignità e nella loro tutela e una loro partecipazione alle scelte strategiche delle imprese. La necessità di questa trasformazione era del resto evidente già prima del Covid-19.
A livello di Unione Europea:
- Applicare lo “European Pillar of Social Rights”. Questi principi sono stati finora una vuota enunciazione. E’ ora urgente dare una priorità ad alcuni diretti e avviarne l’applicazione, ad esempio assicurando che in ogni Stato Membro dell’UE tutte le lavoratrici e i lavoratori godano di assicurazione e previdenza sociale, senza eccezioni. E’ altresì necessario avviare una revisione delle linee guida per il mercato del lavoro, con l’obiettivo dichiarato di ridurre il lavoro precario.
A livello nazionale:
- Attuare l’impegno dell’attuale governo a introdurre assieme: salario minimo, validità erga-omnes dei contratti firmati dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentativi, rafforzamento delle ispezioni.
- Ricorrere più diffusamente ai Workers Buyout come strumento di uscita dalla crisi e rigenerazione per le PMI.
- Introdurre nelle medio-grandi imprese e nei distretti industriali governance statutarie innovative, come il Consiglio del Lavoro e Cittadinanza proposto dal ForumDD. Il Consiglio include la rappresentanza del lavoro (dell’intera filiera, incluso il lavoro a tempo determinato) assieme a quella dei cittadini (portatori di interessi ambientali o del consumo) e valuta le scelte strategiche delle imprese con poteri diversi a seconda dei temi.
- Progettare una revisione del sistema di protezione sociale, che tuteli tutti in condizioni ordinarie e di shock imprevisti, e tornare a confrontarsi, in modo franco, informato e ragionevole, a livello nazionale ed europeo, sull’ipotesi di un “reddito di base universale”.
- Accrescere la libertà dei giovani nel costruirsi un percorso di vita e contribuire al futuro del paese. Già prima della crisi, l’Italia era nel pieno di una crisi generazionale profonda, segnata da numeri impressionanti. L’emergenza Covid-19 aggrava questa crisi in termini di incertezza futura e per la perdita di opportunità che grava sulle loro prospettive di vita. Ma al tempo stesso proprio i giovani sono in potenza i primi candidati per cambiare il corso del post-Covid-19, in Italia come in tutti i paesi. Affinché essi possano svolgere questo ruolo, per cogliere questa opportunità, essi devono avere competenze, autonomia finanziaria, voce e potere. Ne derivano tre linee di azione, urgenti:
- Il più forte ruolo della scuola e università, prima descritto (obiettivo strategico 1).
- Un’eredità universale ai diciottenni, incondizionata e accompagnata da servizi abilitanti dall’adolescenza, come proposto dal ForumDD (15mila euro, dal 2024) seguendo un’idea di Anthony Atkinson. Sarebbe finanziata in larga misura da una riforma delle imposte sulle eredità e donazioni, che riduce il numero dei contribuenti e aumenta la progressività, concentrando cos’ l’onere fiscale sui più ricchi.
- Un rinnovamento generazionale consapevole e deciso dei gruppi dirigenti amministrativi e politici. Per quanto riguarda le amministrazioni, a ciò può concorrere l’obiettivo strategico 5. Quanto al livello politico, si tratta di un obiettivo centrale per la mobilitazione sociale organizzata.
- Migliorare qualità e metodo delle Amministrazioni Pubbliche: cambiare facendo.
Questa è la condizione affinché gli altri quattro obiettivi siano conseguiti. Al tempo stesso, solo perseguendo quegli obiettivi è possibile il cambiamento, dando a tutti i pubblici dipendenti la “missione pubblica” per scrollarsi di dosso sfiducia e cinismo e compiere un salto di qualità. Non servono, dunque, nuove, inopportune Grandi Riforme, ma interventi operativi radicali.
In particolare:
- reclutamento dei 500mila o più giovani dipendenti, reso comunque necessario dal massiccio pensionamento per ragioni demografiche, selezionati a misura delle competenze disciplinari e organizzative richieste dagli obiettivi strategici motivanti a cui sono chiamati,
- cura del loro inserimento con forme di mentoring/shadowing da parte dei dipendenti anziani più dedicati,
- congelamento e poi revisione delle norme che oggi disincentivano la discrezionalità dei pubblici dipendenti, e allo stesso tempo introdurre una rigorosa valutazione delle competenze organizzative come strumento di promozione del lavoro individuale e collettivo,
- rafforzamento della valutazione dei risultati come strumento di monitoraggio civico,
- adozione di pratiche amministrative che favoriscano la sistematica partecipazione dei cittadini ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione,
- utilizzo della trasformazione digitale per realizzare modifiche organizzative che rendano i dipendenti più autonomi e responsabili (come in esperimenti pilota esistenti).
Il Documento propone l’ossatura di una strategia possibile. Per non essere imprigionati in un meccanismo unico, cambiando tutto perché nulla cambi. Per non precipitare in una cupa e disperata dinamica autoritaria. Per non soccombere al pericoloso compromesso di questi due progetti.
In una crisi così grave, i parametri del possibile non sono più gli stessi. Sta a tutti noi mobilitare le risorse umane, le capacità, le pratiche e la passione sociale e civile per costruire un futuro più giusto.
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