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15 Maggio 2023
Cambiamenti climatici: strategie internazionali fragili
Circa 184 milioni di persone, il 2,3% della popolazione mondiale, vivono al di fuori del proprio Paese d’origine. Quasi la metà di queste si trova in Paesi a basso e medio reddito. Non è ovviamente un fenomeno nuovo: la migrazione è stata parte dell’esperienza umana sin dai primi giorni della civiltà. In altre parole, da quando l’Homo sapiens lasciò l’Africa circa 130mila anni fa, gli esseri umani non hanno mai smesso di muoversi, producendo culture, lingue ed etnie differenti.
Se si osservano i trend degli ultimi decenni, la quota di migranti nella popolazione mondiale è rimasta relativamente stabile dal 1960. Tuttavia, ci avverte la Banca mondiale nel suo ultimo World development report, quest’apparente stabilità è fuorviante perché la crescita demografica è stata disomogenea in tutto il mondo: la migrazione è aumentata oltre tre volte più velocemente della crescita della popolazione verso i Paesi ad alto reddito e solo la metà della crescita della popolazione verso i Paesi a basso reddito. C’è dunque una migrazione economica guidata da prospettive di salari più alti e condizioni di vita migliori, che fa sì che circa l’84% dei migranti vada a vivere in un Paese più ricco del proprio. Un elemento da non sottovalutare è che i migranti non sono quasi mai i più poveri dei loro Paesi: lo spostamento ha dei costi che la maggior parte delle persone in condizioni di estrema povertà non può permettersi. Mediamente coloro che migrano sono meno poveri (ma anche meno ricchi) di chi rimane nel Paese d’origine.
Nel quadro delle migrazioni internazionali, quelle provocate da guerra e violenze sono purtroppo in crescita. Negli ultimi mesi l’invasione russa dell’Ucraina, che ha causato la crisi di sfollamento forzato più veloce e una delle più grandi dalla Seconda guerra mondiale, e altre emergenze, dall’Africa all’Afghanistan fino al Sahel, hanno spinto la cifra ben oltre il drammatico traguardo dei 100 milioni di persone costrette a fuggire dalle proprie case. Questo significa che alla fine del 2021, dice l’Unhcr, una persona su 78 in tutto il mondo è stata sfollata con la forza. Una cosa che non è cambiata, tuttavia, è che la maggior parte dei rifugiati e degli sfollati rimane il più vicino possibile ai propri Paesi. Perché, contrariamente alle percezioni, di solito i rifugiati vogliono tornare a casa. Per fare un esempio, la maggior parte degli afgani si trova attualmente in Iran e in Pakistan. Tuttavia c’è un altro potente fattore che sta sconvolgendo i motori delle migrazioni.
Scappare dal clima
Pensate agli eventi meteorologici estremi nel 2022. Calore degli oceani e aumento del livello del mare a livelli record. Il ghiaccio marino antartico ha toccato un nuovo minimo. Estremo scioglimento dei ghiacciai in Europa. Solo in Pakistan le inondazioni hanno provocato lo sfollamento di 33 milioni di persone, mentre altri milioni in Africa sono stati colpiti dalla siccità e dalla minaccia della carestia, dal Corno d’Africa alla costa occidentale del continente. È possibile prevedere in futuro, come in una sorte di fiume carsico, lo spostamento di massa delle popolazioni? Sì, se vaste parti del mondo che ospitano alcune delle popolazioni più grandi diventeranno sempre più inabitabili. Le coste, gli Stati insulari e le principali città dei tropici saranno tra le più colpite, secondo gli scienziati del clima. Le previsioni dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) sono sconvolgenti: il numero di “migranti ambientali” nel 2050 potrebbe essere compreso tra 25 milioni e 1 miliardo. Questi rifugiati già adesso sono in movimento prevalentemente dall’Africa e dal Medio Oriente, dove i Paesi stanno lottando con la crisi climatica e sono danneggiati da siccità estreme. Milioni di questi si sposteranno in Europa nel tentativo di sfuggire agli effetti negativi dei cambiamenti climatici.
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https://futuranetwork.eu/
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